di Barbara Collevecchio
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Jan Saudek, ebreo nato a Praga, vive l’orrore della deportazione durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale. In seguito torna a Praga, costretto a lavorare quasi di nascosto, chiuso in uno scantinato, sviluppando sogni e fantasie nel contesto piuttosto grigio e pragmatico della dittatura socialista. Negli anni Settanta inizia è costretto a lavorare in uno scantinato per evitare il controllo della polizia. Le sue prime fotografie erano stampate in bianco e nero o virate seppia. Verso la metà degli anni settanta, su pressione dei suoi clienti, prende la decisione di colorare ad acquerello le sue stampe in bianco e nero, dando vita ad uno stile particolare e riconoscibile.
Da questa emarginazione da “uomo del sottosuolo” nasce un’arte onirica, elegantemente triste e allegra: erotica nel senso più vitale ed interessante del termine. Le opere di Saudek, affascinanti e misteriose come la stessa Praga, hanno reso questo artista uno dei maggiori autori viventi. Un pilastro della storia della fotografia del Novecento.
I suoi temi principali sono l’erotismo e il corpo femminile, che Saudek carica di simboli religiosi e politici di corruzione e innocenza. Spesso raffigura scene oniriche, dipinte a mano, in cui figure nude o seminude vengono ritratte sullo sfondo di una parete dall’intonaco scrostato, che altro non è che la parete del suo scantinato. Altro tema ricorrente della fotografia di Saudek è l’evocazione dell’infanzia. Spesso Saudek ritrae lo stesso soggetto, nella stessa posa, a distanza di anni per descrivere il trascorrere del tempo.
Il mondo surreale di Jan Saudek è una stanza dall’intonaco scrostato da cui filtra l’infinito. Le carni esposte al suo occhio e pennello sono oscenizzazione di corpi fastidiosi ed imperfetti, resi unici e straordinari dal quel tocco di bellezza malinconica che solo la sua arte sa dare. Sara Saudek dal canto suo, ci racconta delle infinite declinazioni di un femminile impossibile da arginare e restringere con paletti moralizzanti e interpretativi.
Recensione di Barbara Collevecchio
Psicologa ad orientamento junghiano, membro dell’associazione di ricerca in psicologia analitica “Alba” di Bologna. Ha scritto “Il male che cura”, un saggio psicoantropologico sul rituale del serpente e sta scrivendo il suo secondo saggio: “Narcisus Politicus” in cui analizza il narcisismo in politica. Si occupa anche di arte e letteratura, organizzando mostre e scrivendo psico-recensioni come redattrice del magazine on line Unonove.




