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Ho ucciso Shahrazad – Confessioni di una donna araba arrabbiata

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Finalmente l’assassinio di Shahrazàd è compiuto! Qualcuno che ha il coraggio di dire che la protagonista delle Mille e una Notte, non incarna il simbolo d’intelligenza capace con la sola forza della persuasione, di salvare la sua e la vita di tante altre donne.

Joumana Haddad1 con il suo splendido libro “Ho ucciso Shahrazad – Confessioni di una donna araba arrabbiata”, ha finalmente sfatato il mito secondo il quale nel mondo arabo (ma secondo me anche in quello occidentale), la donna per ottenere l’ammirazione e compiacenza dall’altro sesso, non si pone al suo stesso livello, bensì preferisce affidarsi alle “naturali” arti di seduzione per raggiungere la duplice finalità di risultato e approvazione.

La visione della donna araba a cui l’occidente è abituato a pensare è incompleta perché essa non rappresenta altro che un cliché di donna sottomessa, oppressa; esiste anche un altro tipo di donna araba, libera e indipendente che fa di tutto per opporsi ai condizionamenti sociali e religiosi propri del mondo arabo.

La morte intellettuale di Shaharazàd coglie finalmente l’ipocrisia di coloro che le hanno cucito indosso l’abito di eroina, un abito troppo stretto o troppo largo, ma che da qualunque angolazione lo si guardi, ha comunque poco a che fare con lo stereotipo di opposizione femminile ad uno strapotere maschile sempre più imperante.

Purtroppo nemmeno la rivoluzione culturale del ’68 ha prodotto ciò che il femminismo, già dal XIX secolo si prefiggeva. Oggi la parità politica, sociale ed ovviamente economica, non sono stati degli obiettivi raggiunti e continua ad essere ben attiva una odiosa influenza maschilista, resa ancora più detestabile da un atteggiamento subdolo, mellifluo e untuoso come quello di convincere le donne ad essere compiacenti per ottenere privilegi. Peraltro gli ultimi fatti scandalosi riconducibili al precedente Presidente del Consiglio italiano, ne sono una prova tangibile. Egli ha simboleggiato l’immagine del sultano, della cultura dell’harem, una fantasia adolescenziale (per usare le parole di Joumana) che nulla hanno a che fare con la maturità e la ricerca di un rapporto autentico con l’altro sesso.

Quando si raggiungerà la coscienza che è l’umanità ad essere unica, la pluralità e quindi la relazione tra gli individui, comporterà il rispetto di uguaglianza di diritti per chiunque; soltanto allora si potrà affermare che la violenza di genere sarà stata finalmente debellata.

“Smetterò di rivendicare i diritti delle donne saudite quando vedrò uomini sauditi trascinati nelle stazioni di polizia perché guidavano la propria auto, e quando vedrò la donna saudita indossare abiti comodi, mentre l’uomo saudita sarà costretto a indossare un velo nero, guanti neri e abiti neri che lo trasformano in una massa assente, e quando gli sarà detto che al mondo ci sono solo due luoghi destinati a lui: la casa e la tomba”. Wajeha Al-Huwaider, scrittrice e attivista saudita (1957).

Ho scelto questa citazione che apre al settimo capitolo del libro, perché trovo che in queste parole, sia condensata l’essenza del grido di dolore che la scrittrice vuole trasmettere alle donne arabe ma anche a tutte le donne che non hanno avuto e non hanno voce per poter urlare il proprio disagio in questo mondo sempre più a “misura d’uomo”. Una misura d’uomo che in questo caso, non vuole significare vivere in armonia con l’ambiente, con chi ci è accanto e con noi stessi, ma che vuole accentuare il profondo solco di genere che esiste tra i sessi.

La scrittrice pone giustamente l’accento anche su quanto nel mondo arabo, l’influenza della religione incida sulle relazioni sociali. Ci suggerisce di riflettere se esiste una vera differenza tra donna musulmana e donna cristiana e su quanto le due correnti di pensiero abbiano un peso determinante su ogni aspetto della vita.

Aggiungo che l’essere umano ha da sempre bisogno e ne è continuamente alla ricerca, di un’autorità che abbia la funzione di guida e d’insegnamento; più ci sentiamo smarriti, confusi e soli, più sentiamo il bisogno di appoggiare il nostro capo sulle spalle di qualcuno perché ci possa aiutare a trovare la luce in fondo al tunnel. Spesso però quel qualcuno, assume quella funzione di potere che proporzionalmente aumenta tanto più noi ci lasciamo guidare, e quasi inspiegabilmente, non siamo più in grado di trovare le soluzioni che nella realtà sono soltanto dentro di noi. È così che ognuno diviene succubo di un profeta, di un maestro, di una dottrina e così che troppo spesso in loro nome si compiono misfatti indicibili di cui la storia antica e moderna ha ampia documentazione. Ma questa è un’altra storia ed è solo un mio modesto punto di vista. Voglio solo citare un esempio per tutti, visto che il tema è la donna; l’uccisione di Ipazia, illuminata filosofa e astronoma di Alessandria d’Egitto vissuta nel IV secolo e uccisa per mano di fanatici cristiani durante l’epoca delle persecuzioni anti pagane.

Joumana Haddad è peraltro fondatrice della rivista “Jasad” corpo in arabo, impegno che peraltro per ovvi motivi ha creato e crea molti problemi alla poetessa. Questo magazine culturale ha però raggiunto l’obiettivo che la fondatrice si prefiggeva, e cioè quello di creare un dibattito che precedentemente non esisteva tra chi vede disquisire di sesso favorevolmente e chi invece è contrario. Ha quindi posto socialmente un argomento nuovo di discussione sul quale confrontarsi, abbattendo un tabù la cui permanenza è sempre stata favorita sia religiosamente quanto politicamente.

Ho trovato questo libro bellissimo ed emozionante, non soltanto perché scritto da una donna araba, ma perché ancora oggi all’alba del secondo millennio, è ancora necessaria una denuncia forte e chiara sull’esigenza di dare a tutto l’universo femminile, una propria connotazione che non sia subordinata all’uomo, ma piuttosto di pari dignità così come gli compete. Joumana Haddad con questo libro appare indubbiamente coraggiosa nella rivoluzione culturale che impone nel suo Paese, ma soprattutto ne esce da esempio per un Occidente decadente a cui non resta altro che importare donne come lei per far sopravvivere la forza della ribellione. Una chiave di lettura critica sulle contraddizioni del suo mondo, ma che fa riflettere soprattutto del mondo in cui noi viviamo.

  1. Joumana Haddad poetessa, scrittrice, giornalista libanese (Beirut, 1970), Attraverso i suoi scritti tenta di costruire un ponte fra Oriente e Occidente, la cui distanza è oggi segnata dagli scontri ideologici e politico-religiosi. ↩︎
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