Nel Ricordo di Ilaria

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Nel mese di marzo di 30 anni fa, moriva Ilaria Alpi1. Moriva a 33 anni in Somalia mentre indagava su oscuri traffici illeciti di armi e rifiuti tossici, dove le voci del coinvolgimento di strutture politico diplomatico militari italiane, non sono mai state prive di fondamento nell’immaginario di ogni italiano. Ma qui non voglio parlare delle possibili ragioni che hanno causato la sua morte, voglio invece onorarla attraverso il ricordo di una persona, Eleonora, a cui Ilaria era legata da amicizia profonda, e che di lei mi ha parlato come di una persona a cui si voleva bene. Ho ascoltato il suo racconto con la bramosia di un bambino a cui si racconta una storia che vorrebbe non finisse mai, ne sono rimasto affascinato ho preso degli appunti e ne ho tratto una sintesi che voglio proporvi.

Ho incontrato Eleonora a Parigi. Sorseggiavo frettolosamente un caffè in un bistrot e l’ho sentita con la sua inconfondibile voce richiamare all’attenzione un gruppo di turisti distratti. È una cara amica di vecchia data con la quale ho in comune l’amore per i viaggi e lei, che ormai da molto tempo gira il mondo per lavoro, è sempre disponibile a sedersi intorno ad un tavolo a scambiare quattro chiacchiere. Questo grande desiderio di viaggiare non è mai stato solo curiosità per altri popoli, odori, culture, ma prima ancora lo spunto per tanti nuovi incontri, alcuni dei quali possono cambiarti la vita. È così che ci siamo ritrovati a parlare di una grande amicizia nata fra le dune. Due donne nel misterioso mondo medio-orientale: la mia amica Eleonora e Ilaria Alpi.

“Era fine ottobre, una di quelle giornate tiepide e luminose. Nell’aria c’era profumo di cumino e di altre spezie che i venditori ambulanti offrivano alla gente il venerdì, giorno di festa islamico. Il venerdì era una giornata di ozio, in cui un po’ tutti s’incontravano al Caffè Svizzero a prendere una buona colazione.

Fu lì che Ilaria ed io c’incontrammo la prima volta. Ci presentò un amico comune. Sulle prime mi apparve come una persona timida, schiva, con un’aria da bambina cresciuta. Aveva un modo di fare molto ingenuo e mi raccontò il suo terrore per avere visto un topo nella casa che aveva da poco affittato insieme ad un’altra studentessa di arabo. Ridemmo di cuore e ci salutammo cordialmente, senza sapere che quello sarebbe stato l’inizio di una lunga amicizia.

Ilaria ed io dividevamo un entusiasmo comune per i popoli arabi e per la cultura islamica. Ci sembrava che, lasciando l’Italia, ci si fosse schiusa davanti una grande opportunità di conoscenza, di apprendimento, che ci avrebbe sconvolto la vita e rovesciato il nostro modo di pensare troppo “occidentale e borghese”. Così condividevamo insieme le esperienze di viaggio, cercando di conoscere profondamente la mentalità e soprattutto il cuore del popolo arabo. Ilaria aveva la vera stoffa da giornalista e nonostante non ci fosse ancora nell’aria la sua carriera alla RAI, lei già si cimentava in imprese ardimentose, andando ad intervistare capi islamici (fedain) che abitavano il Sud dell’Egitto. Avevamo sempre sentito dire che il Sud era pericoloso per via dell’integralismo, ma poi trovavamo solo aspetti di vero paradiso: il Nilo, grande, abbondante d’acqua, che scorre per chilometri da secoli e ha potuto dare vita ad una delle più grandi civiltà…

Lì vedevamo una natura rigogliosa, di palme verdi in un deserto di polvere, che i tramonti e le albe tingevano di rosso intenso. L’aria rarefatta a causa degli immensi spazi vuoti, senza assolutamente nulla, se non il silenzio del vento e una fortissima e vivida luce. Davanti ai nostri occhi scorrevano le scene bibliche dei contadini che lavoravano la terra con gli asinelli, i buoi e gli aratri rudimentali di legno e qualche posto all’ombra dove, sedute sulla stuoia, ci intrattenevamo con la gente locale a sorseggiare il tè.

Parlavamo ambedue l’arabo. Lei aveva una laurea, io lo avevo appreso dalla strada. Eravamo felici di poter comunicare, di riuscire ad entrare nel loro mondo espressivo, fatto di tradizioni millenarie.

La libertà …  una grande libertà mentale che solo il viaggio ti può dare. Essere in un paese tanto lontano e allo stesso tempo tanto vicino. Sentivamo di non avere una precisa identità, o meglio, sentivamo di essere naturali, di aver ricompattato un equilibrio fisico e mentale che ci permetteva, tramite quelle sensazioni, di crescere, di cambiare, di imparare ad avere un’altra visione delle cose.

Dall’Egitto, quindi, ci spostammo verso la Giordania, la Siria e lo Yemen, immergendoci sempre più a fondo nelle culture tribali arabe.

Petra, città nabatea costruita nella roccia … Petra la città rosa, una città che sembra essere uscita dai racconti della lampada di Aladino e il deserto di Wadi Rum con le sue montagne di terra rossa, gli immensi spazi che ricordano le gesta del Tenente Lawrence, diventato il leggendario Lawrence d’Arabia.

Percorremmo più di quattro ore con la jeep nel deserto, incontrando le tribù nomadi che sono il popolo fiero di Giordania, fedeli al Re Hussein, e lì apprendemmo l’arte della tessitura dei tappeti con la lana di cammello, l’arte della cosmesi con il kohl, che in arabo significa carbone, fatto con olii speciali che fanno risaltare i bellissimi occhi neri dei beduini e che viene usato come collirio contro il tempo e la sabbia.

Ci fermammo ad osservare i disegni rupestri e il volto scavato nelle rocce di Lawrence e del Re Feisal. Qualche beduino molto anziano ancora ricorda quel periodo e alcuni descrivono il loro incontro con il Tenente Lawrence che loro chiamavano EL-ORENCE, ormai divenuto un mito, il mito del tenente inglese che visse come un arabo.

Qualche tempo dopo, dietro mio consiglio, Ilaria intraprese un viaggio nello Yemen e lì mi raccontò il suo entusiasmo nello scoprire un paese vissuto per secoli nel medioevo islamico. La grande ARABIA Felix, il regno di Saba e questi montanari con le jambye , il coltello affilato che gli uomini portano a simbolo della loro razza e del loro orgoglio yemenita.

Lo Yemen con le sue spezie, le sue piantagioni di caffè e le coltivazioni del KAT, un’erba allucinogena che placa la fame e rilassa gli stenti di una vita faticosa, fatta di privazioni.

Anche lei, come tante volte avevo fatto io, viaggiò con Mohammed, il mio autista preferito. Su e giù per le montagne alla scoperta di un popolo vero, tradizionale e puramente arabo.

Fu estremamente doloroso il nostro rientro in Italia. Avevamo capito che non potevamo continuare a fuggire. La nostra realtà, purtroppo, era qui. Dovevamo tornare. E così lasciammo l’Egitto, uscendo come si esce la mattina da un lungo sogno notturno. Nè io nè lei ci rassegnammo mai, ma una struggente nostalgia ed una infinita gratitudine per quel Paese, entrato ormai nel nostro cuore, ci resero forti interiormente una volta a casa.

Ilaria vinse un concorso alla RAI e prese l’incarico agli Esteri. Naturalmente il suo sogno era quello di diventare inviata in un paese arabo, ma i sogni sono sempre le proiezioni di un desiderio e, purtroppo, la realtà è sempre più dura e deludente.

I primi incarichi furono in Somalia dove lei andava di buon grado perché le ricordavano l’Egitto.

Si trovava a suo agio nei paesi in via di sviluppo con le popolazioni oppresse. Forse questo le derivava dalla necessità di sentirsi utile, perché le diminuisse quel senso di colpa per essere un’occidentale che viene da un mondo opulento e viziato.

E questo, Ilaria voleva raccontarlo. Voleva raccontare il mondo così come lo vedeva, la sua verità. Ma con questo sogno, lì in Somalia, ha lasciato il suo corpo. Con una pallottola in testa.Io continuo a girare, e tutte le volte che passo in un deserto e respiro quell’aria, non dimentico mai di mandarle un bacio, lassù tra quelle stelle.”

Anche la mamma di Ilaria ci ha lasciati e tra le sue ultime parole, “…sono stanca di illudermi. Ma farò di tutto perché l’inchiesta non finisca in archivio”, non si può non capire non solo il dolore che l’ha percorsa per tutti quegli anni, ma la delusione che questa figlia non abbia avuto la giustizia che avrebbe meritato. La storia di Giulio Regeni ha delle similitudini con quanto avvenne nel 1994, la speranza è che, almeno per una volta, la storia non si ripeta.

  1. Ilaria Alpi (Roma, 24 maggio 1961 – Mogadiscio, 20 marzo 1994) è stata una giornalista e fotoreporter italiana, assassinata a Mogadiscio, dove lavorava come inviata per il TG3, insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin ↩︎
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